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STUPEFACENTI SPACCIO DI LIEVE ENTITÀ

Tribunale di Bologna, Ordinanza n. 446 del 07 novembre 2017.

Con un’ordinanza innovativa il Tribunale di Bologna, il 07 novembre scorso, si è pronunciato su una vicenda che è ben nota ai lettori e che si riassume nelle osservazioni di sintesi che seguono.

Il caso di specie prende le mosse dalla decisione del Gup del Tribunale di Bologna, confermata in secondo grado e divenuta irrevocabile nel 2011, che condannava il ricorrente a 2 anni e 8 mesi di reclusione per il reato di cui all’articolo 73, comma 5, Dpr 309/1990 (nella specie, traffico di hashish). Nel mese di settembre di quest’anno, la difesa del condannato, chiedeva al giudice dell’esecuzione di rideterminare la pena e di concedergli la sospensione condizionale, sulla scorta di quanto stabilito dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 34/2014. L’ordinanza in commento si caratterizza per la particolarità della decisione del giudice dell’esecuzione che, dopo aver rideterminato in modo favorevole al reo la pena, ha accolto la richiesta di sospensione condizionale della stessa, con conseguente immediata cessazione anche dell’affidamento in prova al servizio sociale in atto. Il provvedimento ha trovato il suo principale fondamento nella citata sentenza della Consulta che aveva dichiarato l’incostituzionalità della legge c.d. Fini-Giovanardi per aver messo sullo stesso piano droghe leggere e pesanti.

A parere del Tribunale di Bologna la declaratoria di incostituzionalità della predetta legge, si attaglia perfettamente al caso di specie.

Ed infatti, ponendo la questione della legittimità della perdurante esecuzione di una pena irrogata sulla base di una norma ritenuta incostituzionale nella parte relativa alle sanzioni, questa ha riportato in vita la precedente normativa in tema di sostanze stupefacenti che prevedeva la distinzione tra le c.d. “droghe pesanti” e “droghe leggere” e, in particolare, quanto a queste ultime, un trattamento sanzionatorio più lieve rispetto a quello applicato nella sentenza emessa a carico del condannato. Inoltre, ribadendo il principio secondo cui “la restrizione della libertà personale del condannato deve essere legittimata, durante l’intero arco della sua durata, da una legge conforme a Costituzione (art. 13, comma II, art. 25, comma II) e deve assolvere la funzione rieducativa imposta dall’art. 27, comma III, Cost.”, incide fondamentalmente su due profili: da una parte, rende illegittima la condizione del detenuto che sia stato condannato in forza di una legge contraria alla Costituzione; dall’altra, impone una compressione del principio della c.d. intangibilità del giudicato.

Queste ultime argomentazioni, in particolare, trovano il loro principale cardine nelle due sentenze della Suprema Corte, pronunciatasi in entrambi in casi a Sezioni Unite (n. 18821 del 24/10/2013 e n. 42858 del 14/10/2014). Più segnatamente, la prima ha sancito il principio secondo cui se una pena è stata inflitta sulla base di una legge illegittima, anche la sua esecuzione dovrà considerarsi illegittima, poiché in uno Stato di diritto non può non esserci un giudice che faccia cessare l’esecuzione di una tale pena, ovvero la riduca a misura legittima, una volta che sia stata dichiarata l’illegittimità della legge sulla cui base essa è stata inflitta. La seconda ha sottolineato che il diritto fondamentale alla libertà personale deve prevalere sull’intangibilità del giudicato, sicché devono essere rimossi gli effetti ancora perduranti della violazione conseguente alla applicazione di tale norma incidente sulla determinazione della pena, dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale dopo la sentenza irrevocabile.

Per converso, dunque, anche la dichiarazione di incostituzionalità della legge, nella parte relativa alla sanzione, determina in capo al giudice l’obbligo di procedere alla rideterminazione della pena altrimenti illegittima: ciò perché la conformità a legge della pena, e in particolare quella che incide sulla libertà personale, deve essere costantemente garantita dal momento della sua irrogazione a quello della sua esecuzione.

In conclusione, alla luce anche dei principi appena citati, non solo il giudice dell’esecuzione rideterminava la pena in 1 anno e 4 mesi di reclusione, ma, avuto riguardo all’epoca risalente del commesso reato e alla regolare condotta di vita successiva, in assenza di elementi ostativi, ha accolto anche la richiesta di sospensione condizionale della pena medesima.

@Produzione Riservata – Studio legale Cimino

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