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NON BASTA IL CID PER AFFERMARE LA RESPONSABILITA’ DI UN SINISTRO STRADALE

Una delle questioni più dibattute relative ai sinistri stradali è il valore probatorio da attribuire al modulo C.A.I (o C.I.D) recante la sottoscrizione delle persone coinvolte nell’incidente.
L’art. 143 del Codice delle Assicurazioni Private stabilisce che quando il modulo è firmato congiuntamente da entrambi i conducenti coinvolti nel sinistro si presume, salvo prova contraria da parte della compagnia assicuratrice, che il sinistro si sia verificato nelle circostanze, con le modalità e con le conseguenze risultanti dal modulo stesso.
Dal dettato normativo deriva che le dichiarazioni rese con il modulo possono essere messe in discussione qualora emergano elementi di contrasto, ciò nonostante considerando che l’ipotesi in cui, il soggetto che rende la dichiarazione è soggetto diverso dall’assicuratore, la giurisprudenza è intervenuta più volte a chiarire l’ambito di operatività della disposizione.
In un primo tempo si era soliti distinguere a seconda del momento in cui il modulo C.A.I veniva introdotto nel giudizio, con la conseguenza che, laddove il CAI venisse utilizzato dal danneggiato già nella fase stragiudiziale, si riteneva operasse la presunzione di responsabilità di cui all’art. 145 c.d.A. Nel caso opposto , quando veniva utilizzato nel corso del giudizio, trattandosi di dichiarazioni rese da un soggetto diverso dall’assicuratore, erano liberamente appezzabili dal giudice alla stregua delle dichiarazioni confessorie rese da un terzo ( Cfr. Cass. 4369/2002)
Tale posizione è stata poi superata a partire dal 2006 quando con la decisione n. 10311 la Corte di Cassazione a Sezioni Unite sanciva il principio secondo cui la confessione resa nel CID costituisce un presunzione di colpa iuris tantum a carico dell’assicuratore, ma qualora la compagnia assicuratrice riesca a fornire la prova che quanto contenuto nella C.A.I. non corrisponda al vero, tanto da escludere qualsiasi responsabilità a carico del proprio assicurato, questi, nonostante si sia assunto la responsabilità dell’accaduto nel modulo di constatazione amichevole, non potrà essere condannato al risarcimento dei danni. L’elemento di diritto su cui le Sezioni Unite fondano tale principio è il comma 3 dell’articolo 2733 C.C. , secondo il quale in caso di litisconsorzio necessario la confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorti è liberamente apprezzata dal giudice. Detto principio di diritto ormai consolidato, che vale anche nei confronti del solo confitente (cfr. Cass. N. 739/2011 – Cass. 3875/2014), è stato recentemente applicato dal Tribunale di Treviso sent. n. 693/2017 che ha confermato in grado d’appello una sentenza del Giudice di Pace che dopo aver disposto CTU ricostruttiva della dinamica del sinistro, ritenendo liberamente valutabili le dichiarazioni rese nel modulo C.A.I e valorizzando la circostanza che gli stessi soggetti, ivi compreso colui che era stato indicato come testimone oculare del fatto, fossero stati coinvolti in innumerevoli altri sinistri stradali, ha ritenuto non provata la dinamica del sinistro prospettata dagli attori.
In sintesi, il giudice di merito può liberamente valutare il valore probatorio da attribuire al C.A.I, in particolare confrontando la confessione stragiudiziale con altri elementi probatori, quali testimonianze, verbale redatto dall’autorità, le registrazioni della scatola nera, le valutazioni tecniche formulate dai periti d’ufficio e di parte.
Ben può dirsi che questa ricostruzione giurisprudenziale, oltre a salvaguardare l’automobilista poco accorto, costituirà valido deterrente contro le truffe ai danni delle compagnie assicurative.
@Produzione Riservata – Studio Legale Gelsomina Cimino

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