SINDROME DA ALIENAZIONE PARENTALE (PAS): LA CASSAZIONE INVITA I GIUDICI ALLA MODERAZIONE

LA SUPREMA CORTE, RICHIAMANDO PRECEDENTI PRONUNCE SUL TEMA, HA RIBADITO CHE NEI GIUDIZI DI SEPARAZIONE IN CUI SIA STATA ESPERITA UNA CONSULENZA TECNICA D’UFFICIO DI TIPO MEDICO-PSICHIATRICA, CONCLUSASI CON UN ACCERTAMENTO DIAGNOSTICO DI SINDROME DA ALIENAZIONE PARENTALE, IL GIUDICE DI MERITO, NELL’ADERIRE ALLE CONCLUSIONI DEL CONSULENTE, NON PUÒ LIMITARSI AL MERO RICHIAMO ALLE CONCLUSIONI DEL TECNICO MA È TENUTO, SULLA BASE DELLE PROPRIE COGNIZIONI SCIENTIFICHE, OVVERO AVVALENDOSI DI IDONEI ESPERTI E RICORRENDO ANCHE ALLA COMPARAZIONE STATISTICA PER CASI CLINICI, A VERIFICARE IL FONDAMENTO, SUL PIANO SCIENTIFICO, DI UNA CONSULENZA CHE PRESENTI DEVIANZE DALLA SCIENZA MEDICA UFFICIALE E CHE RISULTI, SULLO STESSO PIANO DELLA VALIDITÀ SCIENTIFICA, OGGETTO DI PLURIME CRITICHE E PERPLESSITÀ DA PARTE DEL MONDO ACCADEMICO INTERNAZIONALE, DOVENDOSI ESCLUDERE LA POSSIBILITÀ, IN AMBITO GIUDIZIARIO, DI ADOTTARE SOLUZIONI PRIVE DEL NECESSARIO CONFORTO SCIENTIFICO E POTENZIALMENTE PRODUTTIVE DI DANNI ANCOR PIÙ GRAVI DI QUELLI CHE SI INTENDONO SCONGIURARE.
LA VICENDA PROCESSUALE
Il Tribunale di Treviso, adito nell’ambito di un giudizio di separazione personale dei coniugi, valutate le consulenze tecniche disposte d’ufficio per la valutazione delle capacità genitoriali, ordinava l’affidamento esclusivo della figlia minore in favore del padre.
Il provvedimento veniva reclamato dinnanzi alla Corte d’Appello di Venezia che rigettava il reclamo e disponeva l’affido super-esclusivo della minore al padre, con contestuale revoca delle disposizioni economiche inizialmente poste a carico dello stesso padre.
Secondo la Corte, dalle due consulenze tecniche era emersa non solo una elevata conflittualità tra i due genitori – con difficoltà comunicative tra di loro – ma anche una grave carenza di capacità genitoriali in capo alla madre che aveva mostrato una scarsa flessibilità ad accettare il ripristino delle relazioni tra padre e figlia, emergendo piuttosto la sua volontà di mantenere la figlia presso di sé, escludendo la figura paterna, il tutto nel quadro di una dinamica relazionale caratterizzata da alta tensione emotiva che finiva col coinvolgere la minore.
Era stato quindi il consulente tecnico d’ufficio a sollecitare un affidamento super-esclusivo al padre a fronte del comportamento della madre che sembrava affetta dalla c.d. sindrome della “madre malevola”: in particolare il consulente nominato aveva rilevato che la madre, pur mantenendo con la figlia, almeno in apparenza, un sufficiente rapporto di accudimento, esercitava nei confronti dell’ex partner una condotta tendente ad impedirgli un normale ed affettuoso rapporto con la minore, mirando ad escluderlo da ogni scelta che riguardasse la comune figlia, oltre a rendersi responsabile di condotte “scellerate” come quella di non accompagnare la minore a scuola pur di evitare che il padre potesse prelevarla e tenerla con sé.
LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE RESA CON ORDINANZA n. 1321/2021
La sindrome di alienazione parentale è definita come la situazione nella quale è in atto un processo di rifiuto psicologico da parte di un figlio, di uno dei due genitori (di norma il padre) per via dell’influenza dell’altro genitore (di norma la madre).
La Corte di Cassazione riassume l’intera vicenda processuale sottolineando come la Corte d’Appello abbia disposto, in sostanza, il super-affido in favore del padre, esclusivamente sul rilievo che la condotta della madre, in quanto conflittuale con i consulenti nominati dal Tribunale, oltre che con l’ex partner, sarebbe stata finalizzata all’estraneazione della minore dal padre, ovvero ad allontanarla da quest’ultimo.
Ecco che, richiamando precedenti giurisprudenziali, la Corte sottolinea che in tema di affidamento di figli minorenni di genitori separati, qualora un genitore denunci comportamenti dell’altro genitore, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sé, indicati come significativi di una sindrome di alienazione parentale, ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità del fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia.
I Supremi Giudici rimarcano quindi come tra i requisiti di idoneità genitoriale rilevi anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena.
Ecco che la Corte di Cassazione, applicando detti principi al caso concreto, ha ritenuto le consulenze tecniche versate in atti come altamente generiche e totalmente immotivate sul punto riferito alla capacità genitoriale della madre.
I consulenti prima e la Corte d’Appello poi, avrebbero, ad avviso della Suprema Corte, ancorato l’incapacità genitorale della madre a mere asserzioni di principio, senza indicare specificamente le “gravi ripercussioni sulla minore” effetto delle condotte scellerate di cui si sarebbe macchiata la madre, omettendo in tal modo di specificare quali siano stati gli effettivi pregiudizi per lo sviluppo psico-fisico della minore, senza peraltro considerare le possibili conseguenze di una brusca sottrazione della minore alla madre.
In altri termini, il riferimento alla condotta tesa ad estraniare la figlia dal padre – sostanzialmente ricondotta alla c.d. sindrome di alienazione parentale – e la evidente conflittualità con l’ex partner, non sono elementi sufficienti per giustificare l’allontanamento della minore dalla madre: la Corte d’appello infatti, così facendo, non ha garantito il migliore sviluppo della personalità del minore stesso, ed ha escluso l’affidamento condiviso sulla base di una astratta prognosi circa le capacità genitoriali della madre, fondata in sostanza, su qualche episodio (pur grave) attraverso cui la madre avrebbe tentato di impedire che il padre restasse con la figlia, in tal modo incentrando tutto il giudizio esclusivamente sul disvalore sociale attribuito all’asserita PAS.
Da ciò discende anche la censurabilità del riferimento al padre quale unico genitore “in grado di dare equilibrio e serenità alla bambina” senza minimamente dar conto della sua ritenuta superiore capacità accuditiva.
La Corte conclude nel senso di non poter certamente entrare nel merito della fondatezza scientifica della presunta PAS ma certamente sottolineando come sia obbligo dei giudici di merito approfondire e motivare, evitando di incorrere in un implausibile sillogismo la cui premessa principale è costituita da un ingiustificato severo stigma di comportamenti della madre fondato su un mero postulato.
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