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LIMITI AL SEQUESTRO PENALE DEL CONTO CORRENTE

LIMITI AL SEQUESTRO PENALE DEL CONTO CORRENTE

Con l’Ordinanza 14606 del 3 aprile 2019, la terza sezione penale della Corte di Cassazione ha stabilito il principio di diritto per cui “Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, non può essere eseguito su somme corrispondenti al triplo della pensione sociale giacenti sul conto corrente del destinatario della misura allorquando sia certo che tali somme sono riconducibili ad emolumenti corrisposti nell’ambito del rapporto di lavoro o d’impiego”.

Il caso sottoposto all’esame del Supremo Collegio, prendeva le mosse dall’impugnativa avverso l’ordinanza con cui il Tribunale di Lecco respingeva l’appello proposto avverso l’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari presso lo stesso Tribunale lombardo, aveva rigettato l’istanza di restituzione di somme giacenti sul conto corrente bancario intestato all’indagato, sottoposte a sequestro preventivo in relazione al reato di cui all’art. 10-ter del Decreto legislativo n. 74 del 10.03.2000, in funzione dell’esecuzione della confisca del profitto del reato.

La difesa dell’indagato proponeva quindi Ricorso in Cassazione affidato a diversi profili di illegittimità, fra cui la violazione del principio di rango costituzionale – già affermato in altri casi dalla Cassazione – per cui gli emolumenti retributivi nella misura di quattro quinti e gli assegni di carattere alimentare per l’intero, sono riconducibili all’area dei diritti inalienabili della persona tutelati dall’art. 2 della Costituzione.

Principio quest’ultimo certamente applicabile anche ai dipendenti del settore privato, atteso che, in tema di espropriazione forzata presso terzi, le modifiche apportate dalle Leggi n. 311 del 2004 e n. 80 del 2005 al DPR n. 180 del 1950, hanno comportato la totale estensione al settore del lavoro privato delle disposizioni originariamente dettate per il lavoro pubblico, sicchè i crediti derivanti dai rapporti di cui al n. 3 dell’art. 409 c.p.c. sono pignorabili nel limite di un quinto, previsto dall’art. 545, co. 4, c.p.c.

D’altro canto, sia pur sia da confermare il principio – già altrove sancito dalla stessa Cassazione – per cui il divieto di pignoramento oltre il quinto, sancito dal già citato art. 545 c.p.c., non operi allorquando le somme percepite a titolo di credito pensionistico, siano già state corrisposte all’avente diritto e si sia no confuse con il suo patrimonio mobiliare, è pur vero, che tale principio vale solo laddove non è possibile individuare le somme provenienti dalla corresponsione di ratei pensionistici o stipendiali, perché corrisposte in epoca imprecisata, sicchè le stesse si sono irrimediabilmente confuse con il restante patrimonio. Così come e a fortiori, un tale principio limitativo non vale allorquando tali somme, dopo essere state incassate, sono state spese, pur se il patrimonio si sia successivamente incrementato in termini corrispondenti a fronte di successivi introiti che trovino origine in altra causa.

La Cassazione con l’ordinanza in commento ha quindi ribadito che anche in sede penale, deve farsi applicazione del disposto di cui all’art. 545, sesto comma, del codice di procedura civile secondo cui “Le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale, quando l’accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l’accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma, nonché dalle speciali disposizioni di legge.”

D’altronde, continua il Supremo Collegio, l’art. 104, lett.a delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale, richiama la predetta disciplina dettata in tema di pignoramento presso terzi, quanto all’esecuzione del sequestro preventivo, sicchè ben può affermarsi che essa si pone quale espressione del principio generale che mira appunto a garantire i diritti fondamentali tutelati dall’art. 2 della Costituzione e che, pertanto, deve necessariamente trovare applicazione anche in materia di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, non essendo ragionevole ritenere che in questo campo debba continuare a valere l’opposto principio interpretativo secondo cui, una volta versati sul conto corrente del creditore, gli emolumenti si confondano nel patrimonio, si da perdere la natura alimentare che è loro propria.

La Corte affermando il principio di diritto enunciato ha quindi annullato l’ordinanza del Tribunale di Lecco che dovrà nuovamente pronunciarsi – adeguandosi al detto principio – nel senso di disporre il dissequestro di quelle somme giacenti sul conto dell’indagato al momento della misura penale e rinvenienti da salari o pensioni o altri redditi ad essi assimilati.

@PRODUZIONE RISERVATA – Studio legale Gelsomina Cimino

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