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RESPONSABILITA’ MEDICA: IL DANNO MORALE VA DISTINTO DAL DANNO BIOLOGICO

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La Corte di Cassazione con la sentenza n. 2788 pubblicata il 31 gennaio 2019, accogliendo il ricorso di una donna che aveva convenuto in giudizio il Policlinico dove si era sottoposta ad un intervento chirurgico per il trattamento di un’ernia discale, da cui, per fatto colposo dei sanitari, ne era derivata una lesione morfologica, ha riconosciuto che il danno morale va distinto dal danno biologico, che è sempre sussistente in caso di menomazioni psico-fisiche.

In particolare, la ricorrente si doleva del mancato riconoscimento, ad opera del giudice di merito, delle specifiche e dettagliate conseguenze funzionali e quindi relazionali, in tal modo negando autonomia al danno morale, illegittimamente ritenuto assorbito dalla liquidazione del danno biologico.

La Suprema Corte, dopo aver ricordato che l’ordinamento riconosce e disciplina (soltanto) la fattispecie del danno patrimoniale (nelle due forme del danno emergente e del lucro cessante, art. 1223 cod. civ.) e del danno non patrimoniale (art. 2059 cod. civ e art. 185 cod. pen.), pur nel rispetto dell’insegnamento della Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 233 del 2003) e delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. SS.UU. n. 26972 del 11.11.2008), ha precisato che il danno non patrimoniale deve essere considerato in senso unitario e deve essere omnicomprensivo, nel senso di tener conto, ai fini risarcitori, di tutte le conseguenze derivanti dall’evento dannoso, con l’unico limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici.

Ne deriva, prosegue la Corte, che il giudice deve congiuntamente ma distintamente, valutare la compiuta fenomenologia della lesione non patrimoniale, ossia, tanto l’aspetto interiore del danno sofferto (cd. Danno morale), quanto quello dinamico-relazionale (destinato ad incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto).

Una tale conclusione risulta peraltro rafforzata dallo stesso legislatore che, con la riforma del codice delle assicurazioni, ha fugato ogni dubbio.

L’art. 138, intitolato coerentemente a “danno non patrimoniale”, al comma, 2, lett. E) recita testualmente: “al fine di considerare la componente del danno morale da lesione dell’integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico è incrementata in via percentuale e progressiva per punto, individuando la percentuale di aumento di tutti i valorI per la personalizzazione progressiva della liquidazione”.

Al comma 3 della stessa norma, è precisato: “quando la menomazione accertata incida in maniere rilevante su specifici aspetti dinamico relazionali personali documentati ed obiettivamente accertati, l’ammontare del risarcimento, calcolato secondo quanto previsto dalla tabella unica nazionale, può essere aumentato dal giudice, con equo motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 30%

Ne consegue che nella valutazione del danno alla persona da lesione alla salute, il giudice dovrà necessariamente valutare tanto le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale (il rapporto del soggetto con sè stesso), quanto quelle incidenti sul piano dinamico-relazionale della sua vita (la realtà esterna, il cd altro da sé).

La componente risarcitoria dinamico-relazionale potrà quindi essere aumentata in considerazione di particolari conseguenze anomale, eccezionali e peculiari, tenendo come base l’id quod plerumque accidit: ciò che una persona media, colpita dalla stessa invalidità, riesce a sopportare.

La sentenza del giudice di merito è stata in definitiva ritenuta incoerente con tali principi, poiché ha omesso la cd “personalizzazione” del danno, mancando di considerare l’eccezionalità delle conseguenze relazionali del danno biologico subito, oltre che per non aver operato la prescritta distinzione tra danno biologico e danno morale che dovrà essere autonomamente apprezzato e liquidato.

@Produzione Riservata – Studio legale Gelsomina Cimino

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