LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE RISPONDE DEI DANNI CAUSATI DAL DIPENDENTE STALKER

La Cassazione torna ad occuparsi di un caso di reato Stalking e lo fa nei confronti del Responsabile del servizio cultura di un comune e addetto alla gestione di una biblioteca.
Dopo aver confermato la condanna inflitta in primo e secondo grado, ex art. 612 bis c.p. per aver posto in essere atti persecutori e vessazioni morali che hanno indotto la vittima ad uno stato di disagio e di prostrazione psicologica, condizionata da costante stato di ansia e di paura, gli Ermellini, con la sentenza pubblicata lo scorso 19 luglio, hanno statuito anche in ordine alla responsabilità indiretta di cui all’art. 2049 cc.
La V sez penale della Suprema Corte facendo proprio un insegnamento delle sezioni civili, ha rammentato che la responsabilità per il fatto dannoso di un dipendente postula l’esistenza di un rapporto di lavoro ed il collegamento tra il fatto dannoso del dipendente e le mansioni da questi espletate, senza che sia all’uopo, richiesta la prova di un vero e proprio nesso di causalità, risultando sufficiente, viceversa, l’esistenza di un rapporto di “occasionalità necessaria”, da intendersi nel senso che l’incombenza svolta, abbia determinato una situazione tale da agevolare e rendere possibile il fatto illecito e l’evento dannoso, e ciò anche laddove il dipendente abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, o persino trasgredendo gli ordini ricevuti, purchè sempre entro l’ambito delle proprie mansioni.
Richiamandosi ad altra sentenza del 20.01.2015 la Cassazione ha quindi ribadito che è configurabile la responsabilità civile della PA anche per le condotte di dipendenti pubblici dirette a perseguire finalità esclusivamente personali mediante la realizzazione di un reato doloso, quando le stesse sono poste in essere sfruttando l’occasione offerta dall’adempimento di funzioni pubbliche e costituiscono, inoltre, non imprevedibile sviluppo dello scorretto esercizio di tali funzioni.
Per affermare la Responsabilità civile della PA per fatto del proprio dipendente, a nulla rileva – sentenzia la Corte – la circostanza che le condotte poste in essere dall’imputato si siano verificate durante la pausa pranzo o fuori dell’orario di lavoro, laddove, come in questo caso, l’esercizio delle funzioni pubbliche ha comunque agevolato la produzione del danno nei confronti della vittima, senza che possa acquistare efficacia esimente l’intervento del superiore gerarchico che ha interrotto le condotte persecutorie.
@Produzione Riservata – Studio Legale Gelsomina Cimino