OBBLIGO DI MOTIVAZIONE PER LE MISURE CAUTELARI

Con la sentenza n. 31370, pubblicata lo scorso 10 luglio, la VI Sezione della Corte di Cassazione è intervenuta nuovamente sulla tematica delle misure cautelari ed in particolare sull’obbligo di motivazione.
Il caso posto al vaglio della Suprema Corte, riguardava la sentenza emessa dal Tribunale del riesame di Catanzaro, mediante la quale era stata confermata la misura cautelare della custodia in carcere nei riguardi di un indagato per partecipazione ad associazione mafiosa.
A detta della difesa il Tribunale delle libertà nel respingere il riesame, aveva confermato la custodia in carcere sulla base di un’ordinanza, contraddistinta dalla tecnica del “copia e incolla” e appiattita sulla richiesta del Pm, omettendo di valorizzare gli elementi a favore dell’indagato, che avrebbero consentito di ipotizzare, al più il diverso reato di concorso esterno nel reato di associazione mafiosa, non potendo rilevare a riguardo né il semplice rapporto di parentela acquisito con il matrimonio né la mera frequentazione con personaggi di vertice della presunta associazione mafiosa.
Per i giudici del riesame, invece, l’ordinanza non aveva vizi genetici ed era da ritenersi valida in forza dell’orientamento di legittimità secondo il quale in tema di misure cautelari personali, la necessità di un’autonoma valutazione da parte del giudice delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, richiesta dall’art. 292 c. 1 lett. C) c.p.p (così come modificato dalla Legge n. 47/2015), deve ritenersi assolta quando l’ordinanza, benché redatta con la tecnica del copia incolla, accolga la richiesta del PM solo per talune imputazioni cautelari ovvero solo per alcuni indagati, in quanto il parziale diniego opposto dal giudice o la diversa graduazione delle misure costituiscono di per sé indice di una valutazione critica e non meramente adesiva della richiesta cautelare, nell’intero complesso delle sue articolazioni interne.
Non è dello stesso avviso la Suprema Corte, secondo la quale tale orientamento, non risulta consono sia sotto un profilo sistematico sia, ancor più, rispetto alle ragioni di rango costituzionale (tutela della libertà personale e diritto di difesa, oltre che l’indipendenza della magistratura), che sorreggono la necessità che il provvedimento con il quale il giudice decide la compressione del bene fondamentale della libertà di un determinato soggetto palesi la riconducibilità al medesimo titolare del potere di cautela della relativa giustificazione in modo da poter dire che questa sia “propria” del giudice che l’ha emessa.
Secondo la Corte, è quindi fondamentale che il provvedimento esprima con chiarezza l’avvenuto esercizio della funzione di controllo affidata al giudice: il che se non impone una riscrittura degli elementi di prova con “parole diverse”, onera l’organo cui è affidato il controllo ad estendere il percorso logico che sostiene la decisione attraverso una, pur sintetica, ma autonoma, valutazione della legittimità e consistenza degli elementi disponibili, senza il ricorso a formule stereotipate, spiegandone la rilevanza ai fini dell’affermazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari nel caso concreto.
Per soddisfare l’obbligo di motivazione, sul quale si regge la conferma di una misura cautelare restrittiva, dunque, il giudice non può esimersi dal valutare la legittimità e la consistenza degli elementi disponibili sul singolo caso, pena la violazione del diritto di difesa e la nullità, rilevabile anche d’ufficio, dell’ordinanza ablativa.
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Studio Legale Cimino