MISURE DI PREVEZIONE PERSONALE

Con la sentenza n. 111/2018 pubblicata lo scorso 4 gennaio la Suprema Corte a Sezioni Unite si è espressa sul quesito sollevato dalla prima sezione penale inerente la necessità di accertare l’attualità della pericolosità del proposto, nel procedimento di applicazione delle misure di prevenzione personali nei confronti di soggetti indiziati di appartenere a gruppi o associazioni di tipo mafioso.
Ed invero nel caso di specie era stata imposta (nel 2015) la misura di sorveglianza speciale per un periodo di tre ani a un soggetto accusato della partecipazione ad associazioni di stampo mafioso risalenti agli anni 2010-2011.
La difesa dell’imputato aveva proposto ricorso lamentando l’assenza totale di motivazione in quanto il provvedimento impugnato argomentava, in punto di valutazione di attualità della pericolosità, richiamando solamente principi giurisprudenziali, che in tema di partecipazione associativa, ritenevano non necessaria alcuna particolare motivazione in ordine all’attualità della pericolosità del soggetto nei casi in cui risulti adeguatamente dimostrata l’appartenenza del proposto al clan.
In tali casi infatti la pericolosità discende dalla “nota, stabile e pervasiva capacità criminale delle organizzazioni mafiose”, la quale resiste anche nel caso in cui sia intercorso un lasso di tempo tra la formulazione del giudizio di prevenzione e l’epoca dell’accertamento in sede penale o, comunque, della manifestazione degli indizi dell’adesione al sodalizio mafioso, salvo che emergano elementi dai quali desumere il suo recesso dall’associazione.
La risposta delle Sezioni unite al quesito proposto è lungamente dettagliata, la Corte infatti richiama le tre diverse linee giurisprudenziali interpretative che si sono formate sul punto e che sinteticamente possono essere cosi riassunte:
• la prima, affermatasi sin dalla vigenza della legge 575/1965, che ritiene il requisito della pericolosità desumibile implicitamente nell’accertata appartenenza alle organizzazioni di stampo mafioso. Orientamento invalso anche successivamente all’emanazione del d. lgs 159/2011 che prevede quale elemento fondante l’applicazione della misura, l’accertamento della pericolosità come riferito a tutte le categorie di soggetti compresi gli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose.
• la seconda, c.d. intermedia, che valuta come affievolita la presunzione, per effetto del passaggio del tempo;
• la terza, che richiede una motivazione in positivo sull’attualità della pericolosità.La Corte quindi osserva che l’attuale legislazione prevede che la pericolosità vada accertata con riferimento all’epoca di valutazione applicativa della misura, e di conseguenza richiede di verificare, superata la prima fase del mero inquadramento criminologico, la possibilità di formulare un autonomo giudizio di pericolosità soggettiva per porlo a giustificazione dell’applicazione della misura, escludendo quindi “che dalla sola individuazione di appartenenza all’associazione mafiosa, possa automaticamente discendere l’attualità della pericolosità, a prescindere da ogni analisi rapportata ai tempi dell’intervento di prevenzione, poiché, anche dalle pronunce apparentemente più vicine alla chiave interpretativa seguita da quella in disanima, emerge che l’affermazione posta a fondamento di tale ricostruzione, desunta dall’esame sociologico e storico del fenomeno mafioso, deve coniugarsi con un doppio ordine di verifiche sulla natura giuridica dell’accertamento dell’appartenenza e dei fatti, riguardanti l’apporto riconosciuto al gruppo dal singolo”.
Copiosa è la giurisprudenza, richiamata dalle Sezioni Unite, che afferma l’essenzialità di un’analisi specifica sulla pericolosità, sono citate tra le altre, la sent. n. 23 del 1964, che chiarì come le misure di prevenzione non possono essere adottate sulla base di semplici sospetti, richiedendosi per la loro applicazione, una soggettiva valutazione dei fatti, dalla quale risultasse una condotta abituale ed il tenore di vita della persona; oltreché la nota sentenza De Tomaso pronunciata dalle Corte EDU che ha stabilito il principio secondo il quale “le misure di prevenzione possono essere applicate, ma a patto che la legge fissi in modo chiaro le condizioni, per garantirne la prevedibilità e per limitare un’eccessiva discrezionalità nell’attuazione”.
Tali richiami normativi e giurisprudenziali hanno quindi consentito alle Sezioni Unite di concludere, archiviando definitivamente la possibilità di fare ricorso a presunzioni in tema di partecipazione ad associazioni mafiose, e sancendo l’opposto principio di diritto secondo il quale nel procedimento applicativo delle misure di prevenzione personali, è necessario accertare il requisito della attualità della pericolosità del proposto.@Produzione Riservata – Studio Legale Gelsomina Cimino
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