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L’INAPPLICABILITA’ DEL FORO DEL CONSUMATORE NELLA FUNZIONALITA’ ALL’ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE

esercizio professione foro del consumatore

Con l’ordinanza n. 22810/2018 la Corte di Cassazione si è espressa sul ricorso proposto da un avvocato che aveva convenuto avanti al Tribunale di Monza, (città ove si trovava la sede dello studio legale) una società di telefonia deducendo di aver stipulato con la medesima un contratto di utenza telefonica e che la società si era resa inadempiente agli obblighi contrattuali, causando disservizi alla linea telefonica, per mancata attivazione del servizio “ISDN”; chiedendo, quindi, la risoluzione del contratto e la condanna al risarcimento dei danni.

La società di telefonia si costituiva eccependo preliminarmente l’incompetenza territoriale del giudice adito in forza della pattuizione contrattuale che individuava quale foro elettivo per le eventuali controversie il Tribunale di Roma.

Il Giudice di prime cure rigettava l’eccezione di incompetenza e accoglieva la domanda, condannando la società convenuta al pagamento in favore dell’attore di € 20.165.

In sede di gravame la Corte d’Appello, confermava le statuizioni del primo grado, e riformava solo la parte relativa alle spese di soccombenza ritenute eccessive.

La società di telefonia ricorreva quindi per la Cassazione della sentenza de qua, lamentando, con quattro motivi distinti, l’erronea applicazione delle regole dettate in materia di “Foro del Consumatore”, nonché l’erronea configurazione del professionista quale “consumatore”

La Suprema Corte, nel ritenere fondato il ricorso ha accolto l’eccezione di incompetenza.

La Corte d’Appello aveva infatti basato il rigetto de quo sull’assunto secondo il quale al caso di specie doveva applicarsi il “foro del consumatore” ritenendo condivisibile l’affermazione del primo giudice che aveva condiviso l’assunto per cui l’avvocato, pur essendo professionista e titolare di partita IVA, doveva considerarsi alla stregua del contraente economicamente più debole, in considerazione del fatto che la stipula del contratto di utenza telefonica non doveva considerarsi alla stregua di un atto avente natura professionale.

Secondo la Corte di Cassazione, tuttavia, tale affermazione contrasta con il consolidato orientamento assunto dalla medesima Corte e affermato in diverse ordinanze, secondo il quale per assumere la qualifica di professionista non è necessario stipulare un contratto che costituisca di per sé esercizio dell’attività propria dell’impresa o della professione, ma è sufficiente che il contratto sia stipulato al fine di soddisfare interessi anche solo connessi od accessori rispetto allo svolgimento dell’attività imprenditoriale o professionale;

In applicazione di tale principio, la Corte in più di un’occasione ha infatti escluso che possa acquistare la veste di “consumatore” ed invocare quindi il foro del proprio domicilio:

  • l’avvocato che abbia acquistato riviste giuridiche in abbonamento o programmi informatici per la gestione di uno studio legale (Cass. 17466/2014);
  • la persona fisica che, pur avendo concluso un contratto di apertura di credito in nome proprio, abbia però ottenuto il finanziamento non per sé ma in favore della società di cui era amministratore (Cass. 21763/2013);
  • l’imprenditore od il professionista che abbia stipulato un contratto di assicurazione per la copertura dei rischi derivati da l’attività dell’azienda (Cass. 4208/2007 e Cass. 23892/2006);
  • il fideiussore che abbia prestato garanzia in favore di un imprenditore, per un debito d’impresa (Cass. 13643/2006);
  • l’avvocato che ha stipulato un contratto di utenza telefonica con riferimento ad un apparecchio del quale faceva uso anche per esercizio della sua attività professionale (Cass. 11933/2006).

Tutti i precedenti sopra richiamati si fondano sul principio secondo cui è atto compiuto dal professionista, ai fini dell’applicabilità delle norme contenute nel codice del consumo, non solo quello che costituisca di per sé esercizio della professione, ma anche quello legato alla professione da un nesso funzionale.

Di conseguenza, per l’avvocato è “atto della professione” non solo la stipula con il cliente del contratto di mandato o di consulenza, ma anche la stipula di tutti i contratti necessari od utili per il compimento degli atti professionali, quali: l’acquisto dei testi giuridici, la stipula di una assicurazione della responsabilità civile professionale, l’appalto dei servizi di pulizia; la somministrazione di luce, gas o servizi telefonici per lo studio professionale.

Ma vi è più da considerare che la sentenza impugnata contiene, secondo la Suprema Corte, un ulteriore errore di diritto: ovvero l’affermazione secondo cui la disciplina dettata dal D.Lgs 206/05 per i contratti stipulati dal consumatore avrebbe dovuto comunque trovare applicazione, nel caso di specie, dal momento che l’attore era un soggetto economicamente e contrattualmente debole rispetto alla controparte.

A dire degli Ermellini, così giudicando, la Corte territoriale ha posto a fondamento della propria decisione una regula iuris inesistente in quanto il dettato normativo di cui al D. Lgs 206/05 non fa alcun riferimento alle condizioni economiche delle parti, al loro potere commerciale, alla loro forza o capacità di imporre all’altra condizioni più o meno svantaggiose per l’aderente.

E’ da escludersi, dunque, che la lettera della legge consenta di individuare il consumatore nel soggetto economicamente più debole, né tantomeno a tale conclusione potrebbe giungersi invocando la ratio legis.

Difatti, prosegue la Corte, la normativa in esame ha come finalità quella di evitare distorsioni di concorrenza sul mercato di beni e servizi e non già, quella di perseguire astratti principi egualitari o redistributivi della ricchezza.

Alla luce di tali assunti, ne discende che le differenze economiche esistenti tra le parti di un contratto, da sole, non giustificano l’applicazione delle norme dettate per i contratti dei consumatori; né esiste nell’ordinamento alcuna corrispondenza biunivoca tra la nozione di “professionista” e quella di soggetto forte del rapporto contrattuale, di qui, la cassazione della sentenza impugnata con declaratoria di competenza in favore del Tribunale di Roma cui l’intero procedimento è stato rimesso.

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