Tuo figlio è stato indagato e rischia il carcere?
L’esperienza ventennale dello Studio Legale Cimino potrà garantire la migliore soluzione per evitare misure restrittive e per evitare che un solo errore possa nuocere al futuro professionale di tuo figlio
Sempre più spesso capita che ragazzi appena 14enni si ritrovino coinvolti in situazioni legali.
Una rissa; uno spinello; qualche bicchiere accettato senza volerlo ed ecco che si avvia un’indagine presso la Procura della Repubblica del Tribunale per i Minorenni.
Da oltre vent’anni l’Avv. Gelsomina CIMINO è accanto ai minori per garantire loro la migliore tutela: dalla misura alternativa al carcere alla messa alla prova che estingue il reato.
Lo Studio vi saprà supportare nel rapporto con i Servizi Sociali e vi accompagnerà nel lento percorso verso la definizione del processo.
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La modifica delle condizioni di separazione può essere chiesta, in ogni tempo, qualora intervengano nuove circostanze di fatto e di diritto che la giustifichino. I provvedimenti adottati dal Giudice in sede di separazione non hanno infatti carattere decisorio e per loro natura sono sempre modificabili. È possibile modificare tanto le statuizioni relative all’assegno di mantenimento, quanto quelle relative alla prole o all’assegnazione della casa familiare. Il coniuge che chiede la revisione dei provvedimenti adottati in sede di separazione è tenuto a provare che vi è stato un mutamento nelle condizioni personali o patrimoniali dei coniugi (ad es. un peggioramento delle proprie condizioni economiche oppure un miglioramento di quelle dell’altro).
Agli stessi risultati pratici, si può addivenire grazie alle novità introdotte dal “Decreto Giustizia” anche attraverso la negoziazione assistita, dove l’accordo raggiunto dai coniugi, con la sola assistenza degli Avvocati è equiparata ai provvedimenti giudiziali che definiscono gli analoghi procedimenti in materia.
Nella stessa ottica di deflazione del carico giudiziario è stato introdotto, nel nostro ordinamento, il cd. “Divorzio Breve” che prevede semplificazioni procedimentali in tema di separazione, cessazione degli effetti civili e scioglimento del vincolo matrimoniale oltre alla possibilità di sciogliere il matrimonio con un semplice accordo davanti all’ufficiale dello Stato Civile.
La legge n. 54/2006 ha introdotto il principio della bigenitorialità e dell’affidamento condiviso dei figli. I figli hanno il diritto di intrattenere rapporti con entrambi i genitori a prescindere da quali siano i rapporti personali fra gli stessi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun genitore. L’affidamento esclusivo all’uno o all’altro dei genitori è dunque l’eccezione che deve essere giustificata da gravi e validi motivi nell’esclusivo interesse dei figli.
Il diritto di visita regola le modalità con il quale ciascuno dei genitori separati può incontrare il figlio. Il Diritto di visita stabilisce i giorni e i momenti che i figli trascorreranno con mamma o con papà dopo la loro separazione. Sempre più spesso, nell’esercizio della propria professione, l’Avvocato si trova ad affrontare i problemi riguardanti il mancato rispetto del diritto di visita ai figli minori da parte del genitore non collocatario. Sono di fondamentale importanza gli accordi presi in sede di separazione volti a regolamentare gli incontri, sia con riferimento alle modalità sia in relazione ai tempi di permanenza presso l’uno o l’altro coniuge.
Come si deve comportare un genitore quando l’altro frequentemente non rispetta le modalità ed i tempi di visita stabiliti?
Innanzitutto, colui che si vede limitato negli incontri con il minore, salvo che non si tratti di episodi isolati, potrà rivolgersi al Giudice facendo presente il comportamento ostativo dell’ex partner e chiedendo, nel contempo, che vengano riviste le condizioni di separazione. In tale sede, l’Autorità Giudiziaria potrà anche modificare il regime di affidamento ed eventualmente dichiarare, nei casi più estremi, laddove ne ricorrano i presupposti, la decadenza dalla potestà genitoriale. La medesima possibilità è prevista anche nell’ipotesi opposta, vale a dire quando persiste il disinteresse del genitore non collocatario a coltivare il rapporto con i figli.
La separazione personale tra i coniugi non deve mai avere effetti pregiudizievoli sui figli, non debbono mai ledere interessi e diritti degli stessi. I figli non hanno alcuna responsabilità della crisi tra i propri genitori, anzi ne sono sicuramente vittime, dato che sentono perdere i loro punti fissi di riferimento, vedono svanire il rapporto tra i propri genitori a cui sono sempre abituati. In modo chiaramente esemplificativo, infatti, la dottrina si esprime in questi termini: «il diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare la prole non muta il suo contenuto a seconda che si versi nella fase patologica piuttosto che nella fase fisiologica della vita familiare: esso deriva dall’atto stesso della procreazione, si perpetua fino al raggiungimento, da parte dei figli, della piena autosufficienza economica». Generalmente, dunque, nei provvedimenti dei giudici viene sempre disposto un assegno periodico a carico di un genitore, quale contributo al mantenimento della prole, destinato o a sostituire integralmente il regime di mantenimento diretto, soprattutto nei casi eccezionali di affidamento esclusivo, o solo ad integrare lo stesso per garantire il rispetto del principio di proporzionalità, richiamato dallo stesso art. 155 c.c. oltre che dall’art. 148 c.c.
L’assegno di mantenimento tiene conto di:
L’assegno di mantenimento dei figli maggiorenni, è obbligatorio nel caso in cui il figlio non sia ancora economicamente autosufficiente: sarà lo stesso giudice, a deciderne la misura tenendo conto dei presupposti sopra citati, nel caso invece di figli maggiorenni portatori di gravi handicap, si applica interamente la disciplina prevista per i figli minori.
L’obbligo dell’assegno di mantenimento del figlio è sancito dal codice civile e dal nuovo ambito normativo introdotto con la legge 54/2006, invece, l’art. 570 del codice penale prevede le sanzioni per il coniuge obbligato che non provvede a versare l’assegno.
Le sanzioni per il mancato pagamento dell’assegno di mantenimento del figlio, vanno dalla reclusione fino ad un anno o una multa da 103 euro a 1.032 euro, per il coniuge che non adempie agli obblighi di assistenza familiare.
Per cui l’assegno di mantenimento dei figli va sempre versato, poiché tutela e garantisce la sopravvivenza dei figli, la loro istruzione ed educazione, per questo motivo, il genitore presso il quale dimora abitualmente il figlio, ha diritto a ricevere mensilmente l’assegno anche quando il figlio passa un periodo di vacanza con l’altro genitore non affidatario, come ad esempio durante le vacanze scolastiche.
L’obbligo di pagare l’assegno di mantenimento dei figli, vige anche qualora l’ex coniuge non abbia un reddito stabile a causa di un licenziamento o disoccupazione.
Pertanto, se l’ex coniuge a causa del licenziamento, disoccupazione o mancanza di soldi, evita di pagare l’assegno periodico, commette una violazione che può essere punita fino alla reclusione, questo è quanto stabilito da una recente sentenza della Suprema Corte, che ha di fatto sottolineato come uno stato di disoccupazione, non può esimere l’ex coniuge, dal sostenere le spese di mantenimento dei figli che devono essere eventualmente coperte utilizzando il Tfr, l’indennità di disoccupazione o mediante il sostegno economico dei nonni.
E’ l’atto con il quale uno od entrambi i genitori si attribuiscono la paternità o maternità di una data persona creando un rapporto giuridico con il figlio riconosciuto. Il riconoscimento trasforma un fatto puramente naturale, come la procreazione, in una fonte di rapporti giuridici. Se, infatti, manca il riconoscimento non sorgeranno rapporti giuridici tra il figlio ed i suoi genitori a meno che non si agisca giudizialmente per far dichiarare la paternità o la maternità. È evidente che ha un senso parlare di riconoscimento solo per i figli nati al di fuori del matrimonio e non per quelli legittimi che, acquistano questo loro status automaticamente in presenza delle condizioni previste dalla legge. Il riconoscimento, invece, non è vicenda che si verifica automaticamente, ma si produce solo alle condizioni previste dal codice civile.
Il figlio nato fuori del matrimonio può essere riconosciuto (nei modi previsti dall’articolo 254 del Codice Civile), dalla madre e dal padre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all’epoca del concepimento. Il riconoscimento del figlio che non ha compiuto 14 anni non può essere fatto senza consenso dall’altro genitore che lo abbia già effettuato.
La Legge n. 219/2012 ha ampliato le competenze del Giudice Ordinario solo con riguardo alle “limitazioni” della potestà ex art. 333 c.c., lasciando inalterata la competenza del Tribunale per i Minorenni per le pronunce di decadenza ex art. 330 c.c., anche se pendente un giudizio di separazione o divorzio.
Ciò in quanto la questione riguarda un giudizio in cui al centro dell’azione c’è il Pubblico Ministero minorile, organo estraneo all’apparato giudiziario del Tribunale Ordinario, mentre la novella della Legge n. 219/12 ha istituito, in capo al Tribunale Ordinario, una competenza cd. per attrazione, nel senso di ricondurre al Giudice Ordinario la cognizione anche dei profili inerenti alla limitazione della responsabilità genitoriale, che in via generale sono attribuiti alla competenza del Tribunale minorile, in presenza di una precedente pendenza di un procedimento c.d. ordinario.
Il procedimento di potestà è disciplinato dalla procedura della giurisdizione volontaria e rappresenta il modello del procedimento civile minorile per eccellenza. Il Tribunale pei Minorenni può porre dei limiti all’esercizio della potestà genitoriale emanando prescrizioni ai genitori del minore ed attivando l’intervento dei servizi socio sanitari per sostenere e controllare le condizioni di vita del minore in famiglia.
Può, inoltre, allontanare il minore dalla casa familiare ed affidarlo, temporaneamente, ad altra famiglia o istituto o anche a persone singole e può anche disporre l’allontanamento del genitore maltrattante o abusante.
Fuori dalla regola generale per cui la potestà genitoriale è in capo ad entrambi i genitori, possono esservi dei casi per cui la stessa può essere esercitata da uno solo di questi, tale limitazione avviene per:
La separazione dei coniugi, cd. crisi irreversibile anche psicologica, non pone fine al rapporto matrimoniale, ma ne sospende gli effetti in attesa di un’eventuale riconciliazione o del divorzio. Si tratta, quindi, di una situazione temporanea in cui gli sposi mantengono la qualità di coniugi, ma cessano i doveri di coabitazione e di fedeltà.
La separazione si distingue in giudiziale (contenziosa) e consensuale: ha valore di legge quando riconosciuta dal giudice e da essa può derivare l’addebito a carico del coniuge che abbia causato l’intollerabilità della convivenza.
Il divorzio permette lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio quando tra i coniugi è venuta meno la comunione spirituale e materiale di vita. Si parla di scioglimento qualora sia stato contratto matrimonio con rito civile, di cessazione degli effetti civili qualora sia stato celebrato matrimonio concordatario.
Anche il procedimento di divorzio può seguire due percorsi alternativi, a seconda che vi sia o meno consenso tra i coniugi:
In caso di scioglimento della convivenza more uxorio, se dall’unione nascono dei figli la loro posizione giuridica è la medesima di quella applicata ai figli legittimi: di conseguenza il figlio naturale riconosciuto potrà essere affidato ad entrambi i genitori (affido condiviso), con collocamento prevalente presso uno dei genitori (nella maggior parte dei casi la madre) al quale potrà essere assegnata la casa familiare anche se di proprietà esclusiva dell’altro genitore. Ciò perchè in ogni decisione dei giudici di legittimità prevale sempre l’interesse della prole più che l’interesse patrimoniale/economico dei genitori che pongono fine alla convivenza. Si può ritenere quindi che è prioritario impedire ai figli di subire (oltre al dispiacere per la fine dell’unione fra i genitori) un’ulteriore perdita delle loro abitudini di vita con il distacco affettivo dalla propria casa della quale hanno disposto insieme ai genitori solo perchè essa è di proprietà dell’altro genitore non assegnatario.
Il regime patrimoniale coniugale di comunione dei beni è il regime che opera nel caso in cui non sia diversamente stabilito dagli sposi (tramite convenzione matrimoniale). La separazione legale produce molteplici e rilevanti effetti. La prima conseguenza della separazione, sia di tipo giudiziale che di tipo consensuale, è lo scioglimento del regime di comunione legale dei beni (sempre che i coniugi non abbiano già optato per il regime di separazione dei beni, al momento della celebrazione del matrimonio oppure in qualunque momento successivo), con rilevanti ricadute, ad esempio, sulla garanzia reale su cui fanno affidamento gli eventuali creditori di ciascuno dei coniugi.
Il potere disciplinare del datore di lavoro ha lo scopo di tutelare l’organizzazione aziendale ed il rispetto degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore, si fonda sul principio di subordinazione del prestatore di lavoro e si traduce nella comminazione di sanzioni disciplinari nei confronti del lavoratore inadempiente. Il potere disciplinare del datore di lavoro, non è “LIBERO”, ma frutto di una reazione sinallagmatica pattiziamente concordata tra datore e lavoratore.
La sanzione disciplinare non è che l’ultimo atto di una procedura (procedimento disciplinare) i cui termini e fasi sono precisamente sanciti dalla legge e dai contratti di lavoro.
E’ importante considerare che, in gran parte dei casi, il mancato rispetto della procedura rende nulla la sanzione.
L’affissione nei locali aziendali del Codice Disciplinare costituisce l’indefettibile requisito di legittimità della sanzione e, perseguendo essa lo scopo sia di dichiarare quale sia il Codice Disciplinare applicabile sia di assicurare un’agevole conoscibilità, è necessario che la suddetta affissione sia in atto al momento del fatto, che concreta la mancanza disciplinare, nonché in quello della contestazione dell’addebito e dell’irrogazione della sanzione, mentre è inidonea la conoscenza del Codice da parte dei dipendenti per una precedente e temporanea forma di affissione o per l’avvenuta consegna di copia del codice medesimo.
La malattia costituisce una delle più importanti cause di sospensione del rapporto di lavoro per sopravvenuta impossibilità della prestazione di lavoro, in quanto l’alterazione dello stato di salute impedisce al lavoratore di effettuare la prestazione. In caso di malattia il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro per un certo periodo di tempo, generalmente lungo, denominato periodo di comporto, la cui durata è fissata dai contratti collettivi. Decorso tale termine e perdurando l’assenza per malattia, il datore di lavoro può procedere al licenziamento riconoscendo al lavoratore l’indennità sostitutiva del preavviso.
Durante tale periodo non si interrompe l’anzianità di servizio e il lavoratore ha diritto alla retribuzione o ad un’indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali, dalla contrattazione collettiva, dagli usi o secondo equità (art. 2110 c.c.).
La malattia ha, inoltre, l’effetto di rendere giustificata l’assenza del lavoratore.
Gli infortuni sul lavoro purtroppo sono all’ordine del giorno, anche perché esistono particolari professioni che portano chi le svolge a rischiare quotidianamente, proprio nella loro sede lavorativa. In Italia si intende infortunio sul lavoro anche qualsiasi tipo di incidente intercorso nel tragitto da casa al lavoro, o tra più sedi lavorative. Nel caso in cui un’azienda non disponga di appositi locali mensa, anche il rientro a casa in pausa pranzo è coperto dall’assicurazione contro gli infortuni. Si occupa di queste questioni l’INAIL, Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro. Nel caso in cui una persona subisca un danno che porta a non poter lavorare per più di 3 giorni, il datore di lavoro deve comunicare il fatto all’INAIL.
L’INAIL paga un indennizzo per chiunque sia soggetto ad un infortunio sul lavoro (che porti ad un’infermità superiore ai 3 giorni di durata) o a una malattia professionale. L’indennizzo è commisurato al grado di invalidità causato dalla problematica in questione. Tutti i lavoratori sono coperti da assicurazione professionale, anche chi lavora in casa.
«Grazie, arrivederci». «E’ stato un piacere». Magari tutti i rapporti di lavoro potessero risolversi con queste due battute. Il licenziamento è l’atto con cui il datore di lavoro risolve il rapporto di lavoro. Esistono diverse motivazioni che possono dare origine al licenziamento e alla sua impugnativa:
La procedura per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è stata introdotta dalla riforma Fornero e riguarda la chiusura (forzata) di un rapporto di lavoro per motivi economici dell’azienda: il posto di lavoro non c’è più oppure la società non è più in grado di pagare quello stipendio.
Diverso il licenziamento per giustificato motivo soggettivo. In questo caso, la chiusura del rapporto di lavoro avviene per un azione disciplinarmente rilevante commessa dal lavoratore, ma non così grave da motivare un licenziamento per giusta causa. Il giustificato motivo soggettivo comprende, ad esempio, lo scarso rendimento o la negligenza del dipendente, la provocazione di una rissa sul posto di lavoro, la minaccia verso un collega o un superiore.
C’è, infine, il licenziamento per giusta causa. Viene motivato da un’azione commessa dal dipendente di gravità tale da non consentire una normale prosecuzione del rapporto di lavoro: insubordinazione, sottrazione di beni dell’azienda, svolgimento di un’attività concorrenziale rispetto a quella dell’azienda, ecc.
Lo svolgimento delle mansioni superiori per il periodo previsto dal contratto collettivo comporta il diritto del lavoratore all’attribuzione del relativo livello di inquadramento e all’erogazione del trattamento retributivo spettante in base al superiore inquadramento che è stato definitivamente raggiunto.
Il lavoratore che agisce per ottenere l’inquadramento in un livello superiore ha l’onere di allegare e di provare gli elementi posti a base della sua domanda, ed in particolare di specificare il contenuto delle mansioni da lui svolte in concreto, raffrontandole con i profili caratterizzanti da un lato le mansioni della superiore qualifica rivendicata, e dall’altro lato della qualifica inferiore riconosciutagli dal datore.
Il dipendente, assegnato dal proprio dirigente allo svolgimento di mansioni superiori, ha diritto a vedersi corrispondere non solo la differenza stipendiale, ma anche tutti gli altri emolumenti accessori, comprese le indennità «di risultato». E, ciò va riconosciuto senza limiti temporali.
Sono considerate discriminazioni le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati «aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante ed offensivo», e quindi anche i comportamenti cosiddetti mobbizzanti, tuttavia connotati finalisticamente e teleologicamente in ragione della religione professata dal soggetto leso, ovvero delle sue convinzioni personali, dell’handicap, dell’età e dell’orientamento sessuale.
Da quanto sopra discende che per potersi configurare la violazione delle norme è necessario che il lavoratore risulti vittima di comportamenti vessatori e prevaricatori (anche non autonomamente sanzionabili) da parte di colleghi e superiori, ripetuti in maniera frequente e duratura, al fine di danneggiarlo.
Anche il mobbing rientra nel concetto di discriminazione. Esso viene normalmente definito una violenza psicologica nell’ambito del rapporto di lavoro caratterizzata da reiterazione e da intento persecutorio, esercitata dal datore di lavoro direttamente, o indirettamente per il tramite di persone terze anche non dipendenti”, con l’intento lesivo di distruggerlo, allontanarlo, degradarlo.
La condotta del datore di lavoro finisce quindi con il ledere un interesse tutelato non solo nello specifico rapporto di lavoro ma anche in una norma quale l’art. 2043 c.c. che si rivolge alla totalità dei consociati.
Infatti, il datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 c.c., deve fare tutto quanto è in suo potere per prevenire situazioni di possibile nocumento morale dei lavoratori e, se tali situazioni si presentano, attivarsi per farle cessare il prima possibile, ripristinare lo stato salutare e risarcire l’eventuale danno cagionato.
In via generale, il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, cioè quelle che sono state concordate fra le parti nel contratto di lavoro. Il 25 giugno 2015 è entrato in vigore uno dei decreti attuativi del c.d. Jobs Act (D.Lgs. 81/2015) che ha modificato l’art. 2103 c.c. e introdotto una nuova disciplina delle mansioni dei lavoratori subordinati.
Il nuovo testo dell’articolo 2103 c.c. introdotto dall’articolo 3 del decreto legislativo n. 81/2015, attuativo del Jobs Act, disciplina il potere del datore di lavoro di mutare le mansioni a cui è adibito il lavoratore (jus variandi) graduandone la portata a seconda delle diverse situazioni:
Il datore di lavoro può disporre il trasferimento del lavoratore da una unità produttiva ad un’altra per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Per trasferimento deve intendersi il mutamento definitivo del luogo di esecuzione della prestazione lavorativa.
Le “ragioni tecniche, organizzative e produttive” devono sussistere al momento del trasferimento; mentre spetta al giudice accertare se tale potere è stato esercitato o meno in relazione alle esigenze oggettive dell’impresa senza tuttavia alcuna possibilità di sindacare l’opportunità del trasferimento.
Nonostante, le donne siano sempre più presenti in ogni ambito lavorativo e raggiungano posizioni di rilievo in molti settori, tali cambiamenti non sono stati considerati in maniera sistematica nell’organizzazione del lavoro in azienda. Permangono infatti, forti squilibri rappresentati dall’ancora scarsa presenza delle donne ai livelli alti d’inquadramento e dalla loro quasi assenza ai livelli di vertice.
Questa situazione di fatto è generata da molti fattori, tra cui il verificarsi di discriminazioni basate sul genere all’interno delle aziende.
Le discriminazioni da parte delle aziende sono dovute principalmente alla maternità delle donne ed alla loro maggior dedizione nella cura della famiglia. Le donne infatti, si trovano ad affrontare una molteplicità di compiti che complicano particolarmente l’accesso o lo sviluppo delle opportunità lavorative, rispetto ai “colleghi” uomini.
Qualora il datore di lavoro adotti comportamenti discriminatori, la legge prevede che la lavoratrice – o le organizzazioni sindacali o, il consigliere di parità, su delega della stessa – possano proporre ricorso al Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro del luogo ove è avvenuto il comportamento denunciato.
Il rapporto di lavoro, così come viene costituito, ha anche un suo corso e infine una sua estinzione. Durante queste fasi vengono richiesti numerosi adempimenti amministrativi e contabili riguardanti il rapporto dell’azienda col lavoratore e con gli enti previdenziali, la cosiddetta “contabilità del personale”.
Gli enti previdenziali svolgono la funzione ‘assistenziale’ da parte dello Stato, intervenendo in casi particolari della vita dei cittadini. Attraverso la gestione delle proprie casse sostengono economicamente: lavoratori disoccupati o in pensione, lavoratrici durante il periodo di maternità, lavoratori in malattia o in cassa integrazione, ecc..
La fattispecie di assicurazione sociale va infatti scomposta in due rapporti, tra loro autonomi: quello previdenziale, intercorrente fra il lavoratore e l’ente pubblico, e quello contributivo, che lega quest’ultimo al datore di lavoro. Vi è poi il sottostante rapporto tra lavoratore e datore di lavoro, che ha ad oggetto l’obbligo di costituire la provvista, ossia di pagare i contributi agli enti previdenziali. “Il datore di lavoro è responsabile del pagamento dei contributi anche per la parte a carico del lavoratore; qualunque patto in contrario è nullo. Il contributo a carico del lavoratore è trattenuto dal datore di lavoro sulla retribuzione corrisposta al lavoratore stesso alla scadenza del periodo di paga cui il contributo si riferisce”.
I reati contro il patrimonio sono quelli commessi ai danni della proprietà (possesso) di un soggetto da parte di un altro soggetto. Sono considerati devianti e si qualificano come reati perché puniti con sanzioni prescritte dal Codice penale. Sono compresi quei reati che offendono gli interessi patrimoniali delle persone fisiche e/o giuridiche.
Di seguito i reati maggiormente trattati dallo Studio Legale Cimino:
I delitti contro la persona sono disciplinati dal Codice Penale. In esso sono compresi tutti quei fatti gravi che ledono o comunque mettono in pericolo i beni fondamentali dell’individuo (vita, integrità, onore, libertà ecc.). Si tenga presente che in diritto per “persona” s’intende non solo quella fisica ma anche quella giuridica.
Di seguito i reati maggiormente trattati dallo Studio Legale Cimino:
Il titolo II del libro II del codice penale disciplina i delitti contro la Pubblica amministrazione, intesa quale insieme degli organi e delle attività preordinati al perseguimento degli scopi di pubblico interesse.
In tale titolo sono compresi tutti quei fatti che impediscono, ostacolano o turbano il regolare svolgimento dell’attività amministrativa, legislativa e giudiziaria dello Stato, nonché dell’attività amministrativa degli Enti Pubblici.
Oggetto giuridico della tutela penale in tale delitti è, pertanto, il regolare funzionamento ed il prestigio degli Enti Pubblici nonché dei soggetti che li rappresentano.
Il legislatore, quindi, ha distinto i delitti in questione in due grandi categorie:
Per effetto della L.86/1990, i reati in esame sono stati per la gran parte ridisegnati ed adeguati alla realtà dei nostri giorni. Più in particolare, la riforma, da un lato, ha potenziato la risposta punitiva dello Stato di fronte alle condotte illecite compiute dai Pubblici Ufficiali nell’esercizio delle proprie funzioni, dall’altro ha eliminato ogni arbitrario sindacato da parte del giudice penale sul merito delle scelte amministrative.
Si segnala, infine, che tale “famiglia” di reati è stata oggetto di ulteriori correttivi ad opera della L.6 novembre 2012, n°190, con cui fra l’altro, si sono ridisegnati i margini disciplinari dei delitti di corruzione, concussione e delle relative disposizioni complementari.
Affidarsi per questo specifico campo, allo Studio Legale Cimino, signifcia garantirsi la migliore e più attenta assistenza tecnica che prende le mosse da una visione integrata del mondo e dello specifico contesto sociale, evitando di trincerarsi nel tempio della legalità.
In caso di revoca senza giusta causa, l’amministratore ha diritto di ottenere il risarcimento dei danni.
Lo Studio Legale Cimino offre l’assistenza più qualificata per la risarcibilità del danno patrimoniale per lucro cessante, per l’importo corrispondente ai compensi non percepiti nel periodo in cui l’amministratore avrebbe conservato il suo ufficio, se non fosse intervenuta la revoca.
In tema di revoca dell’amministratore di Società, la giusta causa può essere sia soggettiva che oggettiva, purchè si tratti di circostanze o fatti sopravvenuti, idonei ad influire negativamente sulla prosecuzione del rapporto; nel secondo caso essa consiste in situazioni estranee alla persona dell’amministratore.
Per la revoca giudiziale dell’amministratore, occorre obbligatoriamente l’assistenza di un avvocato. La revoca, infatti, può essere richiesta a mezzo di ricorso in volontaria giurisdizione che, per sua natura, non ha carattere contenzioso.
Lo Studio Legale Cimino assicura le adeguate competenze professionali finalizzate al raggiungimento del MIGLIOR OBIETTIVO assistendoti in tutte le fasi della procedura di Liquidazione volontaria della Società.
L’art. 2484 c.c. stabilisce che le società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata si sciolgono per le seguenti cause:
L’accertamento del verificarsi di una causa di scioglimento è di competenza dell’organo amministrativo.
La messa in liquidazione con la nomina dei liquidatori è di competenza dell’assemblea dei soci.
La data di effetto della liquidazione nei confronti dei terzi è rappresentata dall’iscrizione della causa di liquidazione nel Registro delle imprese. Gli amministratori devono procedere senza indugio all’iscrizione della causa di scioglimento presso il registro della imprese; in caso di ritardo o di omissione dell’iscrizione gli amministratori sono personalmente e solidalmente responsabili, ex art. 2485 comma 1, cod. civ., per gli eventuali danni cagionati alla società, ai soci, ai creditori sociali e ai terzi.
Mediante la Liquidazione vengono messe in atto diverse operazioni volte a convertire in denaro l’attivo esistente, ad estinguere i debiti sociali ed a ripartire l’eventuale residuo fra soci.
Lo Studio Legale Cimino offre assistenza professionale per tutte le procedure concorsuali e amministrative straordinarie, ponendo l’attenzione a tutte le linee evolutive della normativa fallimentare, mettendo a frutto l’esperienza dello Studio.
In particolare, ha organizzato al suo interno, un gruppo di lavoro multidisciplinare che coinvolge esperti di diritto societario e commerciale, bancario e finanziario, del lavoro, penale, fiscale e contenzioso, al fine di offrire al cliente una assistenza completa, assicurando un costante aggiornamento ai clienti in base alle novità normative e alla prassi.
I fallimenti societari sono procedure concorsuali liquidatorie che hanno come soggetti gli imprenditori commerciali, i loro patrimoni e i creditori e si attivano nel momento in cui il proprietario di una società non assolve le obbligazioni contratte nell’esercizio dell’impresa. Il fallimento è finalizzato alla soddisfazione dei creditori, seguendo il principio della par condicio creditorum, tenendo conto della loro posizione prelazionaria. Esso è disciplinato dalla legge fallimentare che stabilisce i criteri da rispettare per poter dichiarare fallito un soggetto: l’impresa deve essere commerciale (sono esclusi gli Enti Pubblici e i piccoli imprenditori); nei tre esercizi anteriori alla dichiarazione di fallimento deve aver avuto un attivo annuo inferiore a 300.000,00 euro; i debiti non devono essere superiori a cinquecentomila euro e non inferiori a ventimila. Il presupposto oggettivo affinché avvenga una dichiarazione di fallimento è lo stato di insolvenza in cui non si è in grado in maniera permanente di soddisfare le obbligazioni contratte.
Il tribunale fallimentare è l’organo principale che avvia la procedura fallimentare e con decreti stabilisce l’indirizzo che l’impresa deve seguire. Viene nominato un giudice delegato che controlla la regolarità della procedura. Dopo la sentenza di fallimento del Tribunale, viene nominato un Curatore fallimentare che riveste la figura di pubblico ufficiale.
Il curatore amministra la società sotto il controllo del Giudice delegato e dei creditori. Inoltre entro 60 giorni dalla dichiarazione di fallimento deve presentare una relazione che specifica quali sono le responsabilità dell’imprenditore, le sue colpe e le sue mancanze.
Lo Studio Legale Cimino si occupa di Bancarotta e Reati fallimentari ed assiste imprenditori, amministratori di fatto e di diritto, consiglieri di amministrazione, sindaci, direttori generali, liquidatori nei casi di:
La Bancarotta è il reato fallimentare per antonomasia ed essa può essere distinta in Bancarotta Propria, ossia che riguarda la persona fisica, o Impropria (Bancarotta societaria) che riguarda tutti quei soggetti come amministratori, sindaci ecc. che non operano su beni propri ma di soggetti giuridici diversi come ad esempio una società.
Il reato di Bancarotta fraudolenta è tra i più gravi nell’ambito dei reati fallimentari.
Esso si concretizza quando un imprenditore:
Il Piano Regolatore Generale comunale, è lo strumento di regolazione a priori delle trasformazioni fisiche e funzionali e di valorizzazione delle proprietà fondiarie.
Il PRG è un insieme diparti disegnate (tavole di analisi e di progetto) e di parti scritte (norme e relazione)
Il regolamento edilizio, unitamente alle norme regolamentari disciplina l’attività edilizia in ordine: – alle modalità costruttive, al decoro pubblico, ai requisiti igienico-sanitari, di sicurezza e vivibilità degli immobili e delle pertinenze degli stessi, anche con riferimento al superamento delle barriere architettoniche; – alla tutela, valorizzazione e/o riqualificazione del patrimonio edilizio presente nelle aree urbane ed extraurbane, nonché alla conservazione dei valori paesaggistici e delle risorse ambientali del territorio; – agli adempimenti procedimentali correlati alla gestione delle attività edilizie; – all’attività sanzionatoria e di vigilanza.
Lo Studio Legale Cimino potrà aiutarti nella realizzazione di opere di ristrutturazione e nuova costruzione nell’ambito della tua proprietà.
Il progetto da depositare ai fini dell’acquisizione del titolo edilizio (permesso di costruire e SCIA) deve verificare:
La mancata comunicazione dell’inizio dei lavori ovvero la mancata trasmissione della relazione tecnica (nel caso di interventi di manutenzione straordinaria) comportano l’applicazione di una Sanzione Pecuniaria.
Qualora sia trascorso un notevole periodo di tempo dal momento in cui l’abuso è stato commesso a quello in cui esso viene accertato, la P.A. non potrà emettere il provvedimento di demolizione in modo automatico ma dovrà tenere in debita considerazione, indicandole espressamente, sia le ragioni di interesse pubblico che giustificano la demolizione del fabbricato sia gli interessi privati nel frattempo maturati.
Quando non si ravvisano interessi pubblici di particolare rilievo che giustificano il provvedimento di demolizione, il decorso del lungo periodo di tempo potrebbe legittimare l’applicazione di una sanzione pecuniaria in luogo della demolizione.
Infatti, qualora la P.A. dovesse ritenere non necessario procedere con l’ordine di demolizione, disporrebbe in alternativa il pagamento di una sanzione pecuniaria.
Sia la sanzione che l’ordine di demolizione, sono provvedimenti impugnabili e lo Studio Legale Cimino potrà garantirti la migliore assistenza.
Nei casi in cui gli interventi edilizi abusivi siano stati realizzati in assenza o in difformità del permesso di costruire, il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso di costruire in sanatoria, a condizione che l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione del medesimo, sia alla data di presentazione della domanda.
Sotto il profilo penale, la condotta consistente nel realizzare un intervento edilizio illecito è punita ai sensi dell’art. 44 del D.P.R. n. 380/2001.
Questo articolo prevede tre diverse ipotesi stabilendo rispettivamente:
In tutti i casi lo Studio Legale Cimino potrà valutare l’esistenza di eventuali esimenti e assicurare la più completa difesa tecnica.
E’ una certificazione che viene rilasciata quando un edificio rispetta tutti i requisiti di legge necessari per garantire alle persone di vivere in tutta sicurezza e in pieno comfort nei locali
L’Agibilità attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente.
L’agibilità è subordinata al rispetto di tutte le norme e le leggi relative alla costruzione (sia che si siano eseguite opere di nuova costruzione o di ristrutturazione edilizia), e per ottenerla è necessario presentare all’Ufficio tecnico del comune:
Se è tutto in ordine, il rilascio del certificato è un atto d’obbligo al quale il comune non può opporsi.
Il certificato può essere revocato in diversi casi:
Quando viene modificata una norma tecnica, molto spesso i fabbricati costruiti con la norma precedente diventano automaticamente fuori norma. Ma l’agibilità non può essere revocata, perché la struttura è stata realizzata seguendo le norme in vigore all’atto della presentazione del progetto al comune, ed è pertanto regolare. Se si dovesse fare richiesta per dei lavori da eseguire su un edificio che non rispetta alcune norme tecniche aggiornate, può essere richiesto dal comune, pena la negazione dell’autorizzazione, di eseguire quelle opere che renderebbero a norma la struttura (se si ristruttura un appartamento con impianto elettrico non a norma, si è obbligati comunque a modificare l’impianto – anche se non servisse per i lavori – per portarlo in sicurezza).
Nella applicazione delle regole contenute in un contratto spesso possono sorgere dubbi circa la loro interpretazione e se rimane il disaccordo circa il contenuto dell’atto, sarà necessario ricorrere alle norme del codice per dirimere la questione. Lo Studio Legale Cimino assicura la corretta e regolare applicazione delle regole ermeneutiche dettate dal Codice per l’esatta interpretazione del contratto.
“Il contratto deve essere interpretato ricercando la comune intenzione delle parti che appare dall’atto, senza limitarsi al significato letterale delle parole”.
Si parla di risoluzione per inadempimento quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, venendo meno alla regola giuridica di antica memoria “pacta sunt servanda”. Condizione per richiedere la risoluzione per inadempimento è quindi il mancato o inesatto o tardivo adempimento della prestazione imputabile al debitore.
Il legislatore disciplina due figure:
Perciò, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro potrà scegliere tra due possibilità pratiche:
Lo Studio Legale Cimino si occupa di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale nella piena tutela dei diritti dei clienti, siano essi privati, aziende o professionisti controversie civili e commerciali. La responsabilità contrattuale è la responsabilità che deriva dall’inadempimento, dall’inesatto adempimento e dall’adempimento tardivo di una preesistente obbligazione qualunque sia la fonte e si distingue dalla responsabilità extracontrattuale che deriva dalla violazione del generico obbligo di non ledere alcuno senza che prima della violazione sia possibile l’individuazione di una obbligazione. Nell’adempimento dell’obbligazione il debitore deve mantenere un comportamento conforme alla diligenza del buon padre di famiglia, in modo da non incorrere in responsabilità contrattuale.
Se l’obbligato ha un comportamento negligente sarà di sicuro colpevole dell’eventuale inadempimento, inesatto adempimento o adempimento tardivo e dovrà risarcire i danni causati alla parte attiva. Se l’obbligazione riguarda l’attività professionale del soggetto nell’esecuzione della prestazione oggetto del vincolo non dovrà utilizzare la diligenza media, quella del buon padre di famiglia, ma dovrà avere un comportamento professionale e una diligenza superiore rispetto a quella richiesta nei rapporti obbligatori ordinari.
Il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta. Il nostro ordinamento giuridico stabilisce come deve essere determinato il danno risarcibile in caso di inadempimento.
Il creditore ha diritto al risarcimento dell’intero danno subito ma occorre che vi sia una causalità tra inadempimento (o ritardo) e pregiudizio: quest’ultimo, infatti, deve essere ascrivibile al debitore.
La Corte Suprema di Cassazione è al vertice della giurisdizione ordinaria italiana. Tra le principali funzioni vi è quella di assicurare “l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni”.
Una delle caratteristiche fondamentali della sua missione essenzialmente nomofilattica ed unificatrice, finalizzata ad assicurare la certezza nell’interpretazione della legge (oltre ad emettere sentenze di terzo grado) è costituita dal fatto che, in linea di principio, le disposizioni in vigore non consentono alla Corte di Cassazione di conoscere dei fatti di una causa salvo quando essi risultino dagli atti già acquisiti nel procedimento nelle fasi che precedono il processo e soltanto nella misura in cui sia necessario conoscerli per valutare i rimedi che la legge permette di utilizzare per motivare un ricorso presso la Corte stessa.
Il ricorso in Cassazione può essere presentato avverso i provvedimenti emessi dai giudici ordinari nel grado di appello o nel grado unico: i motivi esposti per sostenere il ricorso possono essere, in materia civile, la violazione del diritto materiale (errores in iudicando) o procedurale (errores in procedendo), i vizi della motivazione (mancanza, insufficienza o contraddizione) della sentenza impugnata; o, ancora, i motivi relativi alla giurisdizione. Un regime simile è previsto per il ricorso in Cassazione in materia penale.
Quando la Corte rileva uno dei vizi summenzionati, ha il potere-dovere non soltanto di cassare la decisione del giudice del grado inferiore, ma anche di enunciare il principio di diritto che il provvedimento impugnato dovrà osservare: principio cui anche il giudice del rinvio non potrà fare a meno di conformarsi quando procederà al riesame dei fatti relativi alla causa.
Sono organi della giustizia amministrativa, in primo grado, i tribunali amministrativi regionali (TAR) e, in secondo grado, il Consiglio di Stato nei confronti delle pronunce del TAR della regione Sicilia, funge da giudice in secondo grado il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana.
Il TAR è competente a giudicare sui ricorsi, proposti contro atti amministrativi, da privati che si ritengano lesi (in maniera non conforme all’ordinamento giuridico) in un proprio interesse legittimo. Si tratta di giudici amministrativi di primo grado, le cui sentenze sono appellabili dinanzi al Consiglio di Stato. Per il medesimo motivo, è l’unico tipo di magistratura speciale a prevedere solo due gradi di giudizio.
In generale, la giurisdizione dei TAR concerne la legittimità di atti lesivi di interessi legittimi, ma in casi eccezionali attiene anche al merito (vale a dire a valutazioni di opportunità dell’azione amministrativa). In alcune materie (la più importante è costituita dal pubblico impiego, nei limitati casi ancora oggi previsti dalla legge) tale giurisdizione, oltre che agli interessi legittimi (posizioni dei singoli, tutelate dall’ordinamento in quanto coincidenti con un interesse pubblico generale), si estende ai diritti soggettivi (posizioni garantite in modo diretto nei confronti di altri soggetti, ai quali incombe un obbligo volto ad assicurare in via immediata il godimento del diritto stesso), la cui cognizione è normalmente sottratta al giudice amministrativo e riservata al giudice ordinario (tribunale, ecc.).
La proposizione del ricorso non sospende gli effetti del provvedimento (così che l’amministrazione potrà portare a esecuzione, anche coattivamente, le pretese che ne derivino: per esempio, procedere all’occupazione di un bene immobile, suolo pubblico o a eseguire direttamente, a spese dell’interessato, prestazioni ordinate a quest’ultimo); tuttavia, qualora l’esecuzione sia idonea a causare danni gravi e irrecuperabili (ossia non risarcibili), il TAR, su istanza del ricorrente, può disporre sollecitamente la sospensione.
Il Consiglio di Stato ha una doppia natura, una amministrativa e una giurisdizionale.
Quale organo amministrativo, il Consiglio di Stato è il supremo organo di consulenza giuridico-amministrativa del Governo, delle Camere e delle Regioni mentre come organo di giurisdizione amministrativa è preposto alla tutela degli interessi legittimi ed in particolari materie indicate dalla legge anche dei diritti soggettivi dei privati nei confronti della pubblica amministrazione italiana.
Nell’espletamento della sua funzione consultiva, il Consiglio di Stato fornisce pareri circa la regolarità e la legittimità, il merito e la convenienza degli atti amministrativi dei singoli ministeri, del Governo come organo collegiale o delle Regioni.
In sede giurisdizionale il Consiglio di Stato ha solo funzione di tutela nei confronti degli atti della pubblica amministrazione. In particolare il Consiglio di Stato è il Giudice di secondo grado della giustizia amministrativa, ossia il Giudice d’appello avverso le decisioni dei TAR (Tribunale Amministrativo Regionale).
In ogni ordinamento democratico è previsto che la gestione delle risorse pubbliche sia sottoposta ad un controllo il cui scopo è quello di “perseguire l’utilizzo appropriato ed efficace dei fondi pubblici, la ricerca di una gestione finanziaria rigorosa, la regolarità dell’azione amministrativa e l’informazione dei poteri pubblici e della popolazione tramite la pubblicazione di relazioni obiettive”. Nell’ordinamento italiano detta funzione fondamentale è attribuita alla Corte dei conti.
La Corte dei conti costituisce, insieme al Consiglio di Stato e al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, uno di quegli organi di rilievo costituzionale che la Costituzione qualifica come «organi ausiliari»
E’ l’Organo fondamentale dell’amministrazione di controllo e, per alcune sue funzioni giurisdizionali in materia contabile, uno dei tribunali amministrativi speciali.
In seguito, la Corte dei conti ha visto accrescere, in virtù di numerosi interventi normativi le sue competenze e la sua importanza, tanto da essere definita dalla giurisprudenza costituzionale come il garante imparziale dell’equilibrio economico-finanziario del settore pubblico, e, in particolare, della corretta gestione delle risorse collettive.
La Corte dei Conti ha competenza nei giudizi in materia di contabilità pubblica ed in particolare di responsabilità amministrativa dei pubblici funzionari i quali vengono chiamati a rispondere del loro operato in caso di danni patrimoniali all’amministrazione per comportamento doloso o colposo.
Tale forma di responsabilità è stata di recente estesa agli amministratori e funzionari delle società di capitali controllate dallo Stato e/o da altro ente pubblico.
I minori hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. In ambito giudiziario essi possono esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità, di norma dopo il raggiungimento del 14° anno di età.
L’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente.
Ogni minore ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse, nonché con la famiglia d’origine di entrambi.
La tutela del minore riguarda la protezione dei minori di età, per i quali sia venuta meno la potestà dei genitori per diverse cause, che dipendono, nella maggior parte dei casi, da morte, assenza, scomparsa accertata giudizialmente, decadenza, sospensione, impedimenti effettivi o altre circostanze speciali.
La sua peculiarità è insita nella sua incapacità e vulnerabilità, caratteristiche che si concretizzano in bisogni particolari, nell’inconsapevolezza delle sue necessità, nell’impossibilità di far valere i suoi diritti: per aiutare il fanciullo a crescere e diventare adulto è necessario prevedere una protezione particolare, attraverso il rafforzamento dei diritti umani tradizionali e l’affermazione di diritti specifici e propri del suo status, cosi come d’altronde riconosciuti, a livello internazionale dalla carta dei diritti del fanciullo.
Lo Studio Legale Cimino a tutela del superiore interesse del minore, offre assistenza in tutte le fasi che lo riguardano, analizzando le dinamiche conflittuali e le conseguenze sui minori.
L’apertura di una successione a favore di un minore comporta l’adempimento di alcuni obblighi di legge entro determinati termini. Quando si apre una successione e un minore diventa erede si ritiene comunemente che le pratiche a carico di quest’ultimo per entrare in possesso dei beni ereditari si complichino a dismisura. Ciò perché, per divenire erede, il minore non può semplicemente impadronirsi dei beni del defunto comportandosi, di fatto, come se fossero diventati suoi a tutti gli effetti, ma deve per forza compiere un atto espresso di accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario o di rinunciare nel caso in cui le passività siano tali da rendere l’eredità non conveniente.
Per poter accettare l’eredità, il minore ha bisogno di essere specificamente autorizzato dal Giudice Tutelare presso il Tribunale del proprio domicilio. Pertanto i suoi genitori dovranno presentare a quest’ultimo un apposito ricorso in cui esporre la circostanza della successione e della possibilità per il minore di diventare erede, nonché gli eventuali vantaggi, anche patrimoniali, che deriverebbero a quest’ultimo dall’acquisto dell’eredità.
Lo Studio Legale Cimino fornisce assistenza legale con l’obiettivo di consentire al cliente di acquisire piena contezza delle variabili normative che incidono sulle scelte, offrendo assistenza di primario livello, garantendo competenza, riservatezza e impegno.
Lo Studio Legale Cimino si occupa di Procedure e Reati fallimentari, assiste persone fisiche, imprenditori, amministratori di fatto e di diritto, consiglieri di amministrazione, sindaci, direttori generali e liquidatori in tutte le fasi e ogni grado della procedura concorsuale.
La sentenza dichiarativa del fallimento determina per il fallito, sia esso una persona fisica o una società, effetti giuridici, economici, personali e processuali i quali decorrono dalla data di pubblicazione della sentenza coincidente con il deposito in cancelleria della stessa.
In primo luogo il fallito perde automaticamente la capacità di amministrare e disporre dei propri beni esistenti al momento della dichiarazione del fallimento, gli atti da lui compiuti e i pagamenti effettuati e ricevuti divengono da tale momento inefficaci nei confronti dei creditori, così come le formalità necessarie per rendere opponibili ai terzi gli atti compiuti prima del fallimento che siano compiute dopo la dichiarazione dello stesso.
Vengono sottratti al fallimento i beni di natura personale quali gli assegni aventi carattere alimentare, stipendi, pensioni, salari e ciò che il fallito guadagna con la sua attività entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia, i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, salvo quanto è disposto dall’articolo 170 del codice civile, i beni definiti per legge impignorabili. Nelle società di persone, e limitatamente a queste, sono sottratti al fallimento i beni strumentali all’esercizio dell’attività lavorativa dei soci quando all’interno della società la loro attività personale risulta prevalente rispetto al fattore capitale.
Si definiscono reati, i comportamenti illeciti di particolare gravità, puntualmente descritti dalla Legge come “reati finanziari”. Il mercato finanziario come ogni altra attività è soggetto a leggi previste dal codice civile e dal codice penale. Colui che agisce al di fuori di queste regole imposte dal legislatore compie un reato punibile con sanzioni penali e amministrative. I reati finanziari più gravi sono l’aggiottaggio, l’abuso di informazioni privilegiate ovvero l’insider trading e l’anatocismo. E’ incisiva nel nostro ordinamento giuridico, la repressione di condotte volte alla commissione di reati economici, a tutela dell’amministrazione della giustizia, nonché dell’ordine pubblico e/o economico, attribuendo sanzioni più severe.
Lo Studio Legale Cimino fornisce assistenza legale con l’obiettivo di consentire al cliente di acquisire piena contezza delle variabili normative che incidono sulle scelte, offrendo assistenza di primario livello, garantendo competenza, riservatezza e impegno.
L’evasione fiscale è un reato in capo al contribuente che si sottrae in tutto o in parte all’obbligo tributario previsto dalla legge. Per l’evasione fiscale si viene di norma puniti con sanzioni che possono essere di tipo amministrativo o penale, in proporzione alla gravità del reato commesso. La corte di Cassazione ha stabilito che in alcuni casi si può essere “perdonati”. Insomma, ci sono situazioni per le quali il mancato pagamento di tasse e imposte non è evasione.
Lo Studio Legale Cimino, assiste persone fisiche, imprenditori, amministratori di fatto e di diritto, consiglieri di amministrazione, sindaci, direttori generali e liquidatori in tutte le fasi e ogni grado del procedimento Giudiziario di carattere amministrativo o Penale.
L’istituto della riabilitazione penale, previsto dall’art. 178 del codice penale, consiste in una procedura che consente a chi sia stato condannato con sentenza passata in giudicato o con decreto di condanna non opposto, di chiedere e ottenere, se in possesso dei requisiti, la cancellazione dei reati dal casellario giudiziario, e di conseguenza, l’estinzione degli stessi.
La riabilitazione permette alla persona che abbia subito una condanna, e che abbia manifestato segni di ravvedimento, di ottenere l’estinzione delle pene accessorie e di ogni altro effetto penale della condanna stessa ed è annotata sul certificato penale a cura della cancelleria del giudice che l’ha emessa.
Lo Studio Legale Cimino fornisce assistenza legale specifica tale da garantire il raggiungimento degli obiettivi prefissati nel rispetto delle normative e dalle tempistiche imposte dalla legge.
I casi di esclusione indicati nell’atto costitutivo devono essere “specifici” e avvenire per “giusta causa”. Deve trattarsi di situazioni che non consentono la prosecuzione della partecipazione del socio alla società, quali gravi violazioni dei doveri sociali o della sopravvenuta impossibilità di conseguire gli stessi. Così potrà essere escluso il socio che distragga fondi della società per finalità personali, il socio che subisce condanne penali di un certo tipo o di una certa gravità, il socio fallito, il socio dichiarato interdetto o inabilitato. Potrà essere parimenti escluso il socio d’opera che non sia più in grado di prestare l’attività lavorativa, o colui che ha conferito un bene in godimento in caso di perimento della cosa. L’esclusione va debitamente motivata ed è opportuno che la stessa sia efficace decorso un dato lasso di tempo indicato nell’atto costitutivo.
Lo Studio Legale Cimino ti offre l’assistenza più qualificata per assisterti nel procedimento di esclusione a tutela degli interessi sociali.
La giustizia amministrativa è il complesso dei mezzi di tutela amministrativa e giurisdizionale cui qualsiasi soggetto, privato o pubblico, può ricorrere per tutelare la propria posizione giuridica nei confronti della pubblica amministrazione, laddove questa assuma una posizione di supremazia nello svolgimento della sua attività, e ottenere quindi una pronuncia oggettiva e imparziale in merito alla controversia.
La Costituzione italiana stabilisce un sistema di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi basato su due tipi di giurisdizione, una giurisdizione ordinaria e una giurisdizione amministrativa
La ragione di tale ripartizione deriva da un’esigenza avvertita negli ordinamenti nell’ambito dei quali la pubblica amministrazione, quando agisce in veste autoritativa, si pone in una posizione differente rispetto a quella degli altri soggetti dell’ordinamento, per cui anche la tutela giurisdizionale deve essere attribuita a un giudice diverso da quello ordinario.
Il criterio di riparto tra la giurisdizione ordinaria e la giurisdizione amministrativa stabilito dalla Carta costituzionale è basato principalmente sulla natura delle situazioni giuridiche soggettive vantate dai privati nei confronti della pubblica amministrazione. Al giudice ordinario spetta la cognizione delle controversie che hanno a oggetto i diritti soggettivi, mentre al giudice amministrativo spetta la cognizione delle controversie riguardanti gli interessi legittimi.
Nel caso in cui sorgano conflitti tra la giurisdizione ordinaria e la giurisdizione amministrativa, la soluzione deve essere demandata alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, eventualmente nelle forme del regolamento preventivo di giurisdizione, ovvero attraverso il particolare mezzo di impugnazione del ricorso per cassazione.