ACCOGLIENZA MIGRANTI: UNA MINIERA D’ORO PER LE ASSOCIAZIONI MAFIOSE

La lunga vicenda che ha travolto il Cara di Isola di Capo Rizzuto.
Con la sentenza numero 6105 pubblicata il 5 settembre 2019, il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale ha deliberato sul ricorso proposto da una società che svolgeva attività di gestione delle strutture alberghiere dedicate sia alla normale accoglienza dei turisti che di cittadini extracomunitari.
Il gravame, più precisamente, aveva ad oggetto il provvedimento con il quale la prefettura di Reggio Calabria, lo scorso ottobre 2017, aveva emesso nei confronti della società appellante una informazione antimafia a carattere interdittivo ai sensi degli articoli 89bis e 91 del decreto legislativo numero 159 del 2011 (cd. Codice Antimafia).
Il giudizio di primo grado, svoltosi dinnanzi al tribunale amministrativo regionale della Calabria si era concluso con il rigetto del ricorso proposto dalla società e la condanna alla rifusione delle spese di giudizio nei confronti del Ministero dell’Interno che si era costituito chiedendo la reiezione del ricorso.
La società proponeva così appello con il quale lamentava che la sentenza impugnata avesse erroneamente ritenuto l’esistenza di un grave quadro indiziario, con la conseguente possibilità di inquinamento mafioso che avrebbe legittimato il provvedimento restrittivo adottato dalla prefettura e ciò sarebbe avvenuto applicando il criterio “del più probabile che non“ mutuato dal diritto civile e che tuttavia, secondo la ricostruzione offerta da parte appellante, non permette di riscontrare con alcuna certezza, nei limiti delineati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo e dalla Corte Costituzionale, l’esistenza di una contiguità compiacente o soggiacente, a consorterie mafiose e, in ogni caso, non sarebbero state vagliate dal primo giudice, le ipotesi alternative escludenti il rischio di permeabilità mafiosa.
Il Consiglio di Stato, richiamandosi a propri precedenti (fra tutte Sent. 30 gennaio 2019, n. 758) ha ribadito che il pericolo di infiltrazione mafiosa, deve essere valutato con ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipica dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non”, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa.
Il pericolo, anche quello di infiltrazione mafiosa, è per definizione la probabilità di un evento, ossia, la altamente ritenuta possibilità – quindi non la mera possibilità – che esso si verifichi.
D’altro canto, continuano i giudici di Palazzo Spada, il diritto amministrativo della prevenzione antimafia in questa materia, non sanziona fatti penalmente rilevanti nè reprime condotte illecite, ma mira a scongiurare una minaccia per la sicurezza pubblica, quale l’infiltrazione mafiosa nell’attività imprenditoriale e, al riguardo, i poteri attribuiti alla pubblica amministrazione presuppongono il verificarsi di condotte sintomatiche ed elementi fattuali, alcuni dei quali tipizzati dal legislatore ed altri rimessi alla discrezionalità amministrativa che, nella fase istruttoria, prenderà certamente in considerazione eventuali provvedimenti di condanna non definitivi per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionato.
Il potere attribuito al prefetto in materia di interdittiva antimafia sarebbe quindi non il frutto di una “norma in bianco” nè una delega all’arbitrio dell’autorità amministrativa imprevedibile per il cittadino e insindacabile per il giudice, ma, piuttosto, si basa su elementi riscontrati in concreto di volta in volta con gli accertamenti disposti poiché, il pericolo di infiltrazioni mafiosa, costituisce sì, Il fondamento, ma anche il limite del potere prefettizio, delimitando, in tal modo la portata della sua discrezionalità.
Tra i fattori che determinanti che la Pubblica Amministrazione prenderà in considerazione ai fini dell’adozione di provvedimenti restrittivi de quibus, vanno senz’altro ricordati quelli fatti propri dal legislatore: a) I provvedimenti sfavorevoli del giudice penale; b) le sentenze di proscioglimento o di assoluzione che tuttavia, pur non superando la soglia della punibilità penale, rivelano aspetti di contaminazione mafiosa; c) la proposta del provvedimento di applicazione di una misura di prevenzione; d) I rapporti di parentela caratterizzati da una regia collettiva e patriarcale dell’impresa.
Sulla base di tali presupposti, Il Consiglio di Stato ha quindi confermato che in materia di poteri attribuiti al prefetto nell’ambito della repressione della criminalità organizzata, non è legittimo applicare le regole probatorie del giudizio penale, dove ben altri e differenti sono i beni di rilievo costituzionale a venire in gioco – così in particolare, la regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio – che ove applicate al diritto della prevenzione, imporrebbe alla pubblica amministrazione una probatio diabolica assolutamente sproporzionata rispetto alla finalità del suo potere e ai mezzi di cui è dotata per esercitarlo.
D’altro canto, ricorda ancora il Consiglio di Stato il legislatore, con la previsione del controllo giudiziale di cui all’articolo 34 bis del codice antimafia, introdotto dall’articolo 11 della legge n. 161 del 2017, ha inteso proprio tutelare, anche in presenza di un’informazione antimafia, l’interesse alla sopravvivenza dell’impresa prevedendo la sospensione dell’effetto interdittivo per tutto il periodo della amministrazione controllata, sicchè, ove la contaminazione mafiosa sia ritenuta occasionale e quindi rimovibile in tempi brevi, la tutela costituzionale dell’impresa può essere garantita, seppure sotto il controllo del giudice cui spetterà di valutare se durante il periodo stabilito le infiltrazioni siano state rimosse.
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